Jego – La saga – Di nuovo

La storia si ripete

 

Una notte agitata, sogni funesti avevano disturbato il sonno di Jego.

La visita di Nora e Alfred la sera precedente, la consegna dello studio di Alfred da custodire, gli avevano riempito l’anima di tensione.
Sentiva gravargli sulle spalle la responsabilità di dover proteggere i due e le carte che gli erano state consegnate.
Aveva dormito a tratti svegliandosi con le mascelle contratte per la rabbia.
Ancora una volta si sentiva costretto a uscire dalla Terra di Mezzo per sistemare le cose.
Ancora una volta avrebbe dovuto fare “il lavoro sporco” per evitare che i suoi amici corressero dei pericoli.
“Non fanno parte del branco” si diceva.
“Si trattasse di Yul e Grow non ci sarebbe nessun problema, nessun ripensamento, ma così…” la frase interrotta non trovava risposta.
“Sono i miei amici” si replicava.
“Non posso permettere che qualcuno o qualcosa nuoccia loro, devo andare”.

Con queste botta e risposta la notte era passata e ora all’alba, seduto sulla panca sotto la tettoia, stava ammirando la luce che pian piano saliva, compiaciuto per come il blu della notte mutasse in rosa rendendo tutti i contorni più nitidi illuminando le creste delle colline, rendendo smagliante l’erba dei prati e le foglie degli alberi.
“Potessi avere lo stesso chiarore di pensiero” mugugnava fra sé mentre rimuginava sull’agitazione che lo aveva fatto dormire male.

“C’è aria di tempesta” alle sue spalle Yul affacciato alla soglia aveva pronunciato la frase con un brontolio.
“Cosa dici? E’ tutto sereno!”
“Fratello…” altro ringhio brontolato.
“Hai ragione Yul, sono dibattuto, la mia anima è agitata”.
“Il problema sono i due bipedi di ieri sera?”
“Sì, proprio loro e la responsabilità che mi hanno accollato, non fanno parte del branco eppure… sento di dover fare qualcosa.”
“Quando mai ti sei tirato indietro?”
“Hai ragione come al solito, ma questo comporta che debba uscire un’altra volta.”
“Vengo con te!”
“No fratello, tu devi restare qui, c’è Grow e ci sono quelle carte da proteggere, se non dovessi tornare…” la sospensione della frase implicava il presagio oscuro.
“Tornerai, sei Jego, il mio fratello di branco.”
“La tua fiducia nelle mie possibilità mi commuove, ma come ripeto, loro non fanno parte del branco”
“Quando venisti da noi, non facevi parte del branco, eppure Crol ti accettò e ti trattò da amico, non potevi far parte del branco, non sei uno di noi però ti sei sempre comportato come se lo fossi e questo significa tutto.” Yul si accucciò di fronte a Jego con le zampe anteriori stese in avanti fissando le grigie iridi dell’uomo.
“Quindi secondo te devo andare?”
“E’ una questione di onore, se sai che è giusto, fallo! Altrimenti gli insegnamenti a Grow sarebbero solo parole che il vento può disperdere.”
Scuotendo la testa Jego si ritrovò a sorridere: “Come farei senza la tua saggezza?”
“Siamo fratelli, ognuno di noi dà il meglio di sé per gli altri” scoprendo le zanne in quello che a Jego parve un sorriso.

 


 

Da dietro l’angolo apparve Grow: “Ehi di cosa state parlando? Se non mi sbaglio ho sentito il mio nome” un sorriso aleggiava sul viso del ragazzo che stava diventando sempre più un giovane aitante.
“Grrr… cucciolo insolente, togliti quel sorriso dalla faccia.” Yul si era sollevato sulle zampe e fissava Grow.
“Sì stavamo parlando dei pochi progressi che fai e della fatica di allenarti!”
Il sorriso di Grow si spense immediatamente per lasciare spazio a un’espressione costernata alternando lo sguardo da Yul a Jego.
Quest’ultimo dopo una rapida occhiataccia a Yul sorridendo rispose al giovanotto: “Non ti preoccupare, il brontolone non è mai contento e questa mattina si è svegliato male”.
“Io mi sarei svegliato male, chi si è agitato per tutta la notte, chi ha appena chiesto un parere a questo brontolone?” senza aspettare la risposta Yul girò su se stesso e si allontanò di corsa, giunto al limitare della foresta un lungo ululato si diffuse in cento eco per tutta la valle.

Grow esterrefatto chiese a Jego: “Che gli è preso, si è davvero svegliato male?”
Scuotendo la testa Jego replicò: “E’ preoccupato per me, per le cose che devo fare, devo uscire dalla Terra di Mezzo e lui non può venire con me.”
“Ancora?” Grow sgranò gli occhi fissando l’uomo seduto.
“Sì, ancora, una faccenda che devo sistemare una volta per tutte.”
“Posso venire con te?” speranzoso.
“No mio piccolo amico, è una faccenda che devo risolvere io, poi tu e Yul mi servite qui, lui…” indicando la direzione in cui il lupo era scomparso “ti spiegherà ogni cosa.”
“Ma… ma… tornerai, vero?” ora nel gli occhi di Grow si leggeva lo smarrimento.
“Sì, se potrò farlo” le iridi di Jego erano come due lame di acciaio mentre guardava l’orizzonte.
“Tornerai ne sono sicuro, Yul e io saremo qui ad aspettarti e faremo tutto ciò che è necessario, farò tutto ciò che tu e lui mi ordinerete.”
Un sorriso mesto aleggiò sulle labbra di Jego.
“Sembra che anche tu abbia una fiducia sconfinata nelle mie possibilità.”
“Che c’è di strano? Sei Jego!”
“Stesse parole, quel vecchio brontolone ti ha insegnato bene.”
“E’ Yul!”
L’esclamazione strappò a entrambi un sorriso, l’attimo di tensione e incertezza era svanito.

 


 

Al tramonto, quando la terra divenne visibile, Jego si avventurò per quel sentiero fatto di nulla che lo avrebbe portato nella patria degli umani e nella città in cui Genko, suo fratello Gamile e i loro scagnozzi spadroneggiavano.

“Non ci sono solo loro, c’è anche tanta brava gente che con quelli non ha niente a che fare, anzi in qualche modo sono le loro vittime, non è soltanto per i miei amici che devo fare questa cosa, lo devo a tutti coloro che vivono un’esistenza tranquilla e anche se alcuni cedono alle tentazioni offerte dal male, non è assolutamente detto che siano cattivi”
Con questi pensieri si addentrò per le strade, percorrendo i vicoli bui e le zone illuminate in cui sostavano sfaccendati e donnine invitanti.

Come quando era venuto in cerca di Nora si avviò verso l’università.
“Troverò un albero o qualcos’altro su cui stendermi e aspettare il mattino”.
Giunto davanti a una costruzione che ricordava fosse un ostello per gli studenti, scartò l’idea dell’albero ed entrò nell’atrio cui metà dello spazio era occupata dal bancone per la ricezione degli ospiti.
Da dietro il bancone un uomo lo fissava con gli occhiali sulla punta del naso mentre lo squadrava al di sopra di essi.
La carnagione pallida, i pochi capelli, la curvatura delle spalle e un gran naso a becco diedero a Jego la sensazione di trovarsi davanti a un avvoltoio e si ritrovò a sorridere.
“Straniero, che avete da ridere?” anche la voce era gracchiante confermando l’impressione avuta.
Tornando serio: “Sorridevo perché le cose non cambiano, è rimasto tutto uguale come la prima volta in cui ho alloggiato qui, quasi come tornare a casa” continuando a sorridere cercando di sviare i sospetti sul vero motivo del suo sorriso.
Rabbonito l’uomo di nuovo squadrando Jego da capo a piedi chiese: “Dunque siete già stato qui e vorreste un alloggio?”
“Sì certo e qualche informazione”
“Che genere di informazioni?”
“Ho sentito che qui in città c’è un tale di nome Genko e…”
Non gli riuscì di terminare la frase che l’altro con una smorfia di disgusto gli impedì di continuare: “Siete un suo amico, siete forse della stessa risma?”
“Amico? Ma quando mai… sono qui per invitarlo ad andarsene”.

L’espressione di sospetto e disgusto sparirono per lasciare il posto a una più serena: “Ah, bene! Se volete domattina verranno due dei suoi accoliti a tormentarci, non solo per riscuotere il denaro di una presunta protezione che a loro dire ci necessita, ma anche a chiedere notizie di un professore, è da tempo che non si presenta e loro credono noi lo si stia nascondendo”
Jego distese il braccio in cenno amichevole al custode esclamando: “I nemici dei miei nemici, sono miei amici”.
L’altro con la propria prese la mano tesa e trasalì nel sentire la poderosa stretta che gli fece scricchiolare le ossa delle dita.
“Signore… avete una morsa al posto delle mani, sento comunque il dovere di avvisarvi che quei due non sono degli agnellini, sono due montagne di muscoli e fanno paura solo a guardarli.”
“Non mi lascio impressionare facilmente” fu la risposta secca.

Girandosi a prendere la chiave di una stanza libera per poi porgerla all’ospite, il custode replicò: “Si vede… se avete bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, sono al vostro servizio”.
“Non siete al mio servizio, state facendo bene il vostro lavoro, anche se non siamo ancora amici possiamo essere buoni conoscenti, con idee simili.”
Detto ciò Jego si avviò per raggiungere la stanza assegnatagli seguito dallo sguardo ammirato del custode mentre con la sinistra si stava massaggiando le dita della destra.

 


 

Dopo una notte di sonno ristoratore, Jego seduto in una poltroncina dell’atrio rifletteva e attendeva; i dubbi che l’avevano assillato erano svaniti: la chiacchierata fatta con il custode la sera prima gli aveva dato la certezza che stava facendo la cosa giusta.

Il custode affaccendato dietro il bancone, ogni tanto lanciava uno sguardo all’uomo seduto per poi passare ansiosamente a scrutare l’ingresso.

A metà mattina due loschi figuri varcarono l’entrata, tutti e due molto alti, muscolosi e dall’aria nerboruta poco raccomandabile – Jego valutò che in altezza lo superavano di tutta la testa e forse anche di più – si avvicinarono al bancone guardando trucemente il custode che aveva assunto un’aria afflitta.

“Allora, sei pronto a versare quanto ci devi e a darci le informazioni che vogliamo?”
“Signori, signori, purtroppo per il denaro il decano non vuole acconsentire alla spesa per una cosa di cui non riconosce la validità” il tono era mite e lo sguardo abbassato, prima che i due potessero replicare aggiunse: “Per le informazioni richieste, la risposta è la stessa di ieri, non sappiamo ove si trovi il professore, è scomparso senza lasciare traccia”.

Quello che dei due sembrava il più alto in grado – il maschio alfa, pensò Jego – con voce dura rispose: “Una persona non può scomparire senza lasciare tracce, quello è compito nostro; per quanto riguarda il denaro, dovete, ripeto, dovete assicurarvi la nostra protezione e ciò che chiediamo è un compenso minimo rispetto ai guai che potrebbero accadervi se non pagate”.

Jego senza alzare la voce esclamò: “E chi protegge voi?”
Alla domanda i due si girarono di scatto e quello che stava parlando con il custode fissò l’uomo seduto valutandone la corporatura, stabilendo che si trattasse di un essere innocuo rispose: “Noi non abbiamo bisogno di protezione, la forniamo!”
“Ah sì? La certezza che possedete è una bella cosa, ma non esiste la certezza assoluta, dovreste saperlo se non perdeste troppo tempo a gonfiarvi i muscoli, penso che tutta quella fatica vada a detrimento dell’elasticità mentale e dell’arguzia di cui non sembrate disporre.”
Per un attimo l’energumeno rimase a bocca aperta mentre il suo cervello assorbiva lentamente le parole del suo interlocutore, si riprese quasi immediatamente ed esclamò: “Abbiamo un saputello, un moscerino che non ha niente di meglio da fare che disturbare due galantuomini e onesti lavoratori”.
“Galantuomini, onesti lavoratori? Non esistono persone di tal fatta nelle fogne, in quelle ci sono solo ratti, dalla vostra fisionomia presuppongo che i vostri genitori fossero tali roditori, deduco in aggiunta che ne abbiate assunto anche le caratteristiche”.

Alle parole di Jego il custode con l’aria sempre più smarrita, iniziò ad abbassarsi per nascondersi sotto il bancone.

Il secondo uomo con aria stolida si rivolse al suo capo: “Frank, mi sembra che questo tipo ci stia offendendo.”
“Maledetto cretino, chi ti ha detto di fare il mio nome?”
“Ma Frank…”
“Zitto, fai il tuo lavoro e toglimi di torno quello” indicando con il pollice Jego che non si era mosso dalla poltrona.
Il figuro si avviò con passo pesante nella direzione indicatagli stringendo i pugni, le sue mani erano così grosse che con una di esse avrebbe coperto interamente la faccia di Jego.

“Siete bello grosso signor mio, ma siete sicuro di stare bene? Il vostro colorito mi dice che avete problemi di fegato, forse troppo alcol? Su fatemi vedere la lingua e vi dirò che fare per ridurre quel colorito malsano.”
Preso in contropiede, forse aspettandosi una supplica, l’uomo di arrestò a mezzo metro della poltrona incombendo su Jego, con espressione stupefatta e reagendo automaticamente all’ordine imposto con voce autorevole, fece sporgere la lingua dalle labbra.
Jego, con i piedi saldamente appoggiati a terra e utilizzando i braccioli della poltrona come appoggio si alzò di scatto e con la sommità del capo colpì da sotto il mento dell’altro facendogli sbattere i denti inferiori contro quelli superiori, la punta della lingua fu tranciata di netto cadendo a terra e la mascella emise un sinistro scricchiolio scardinandosi.
L’uomo emise un lamento gutturale mentre con le mani alle labbra cercava di arginare il sangue che gli stava riempiendo la bocca.

Jego scosse la testa rintronato dal colpo ma non si fermò, con un movimento fluido e veloce aggirò l’uomo mugolante e si preparò ad affrontare l’altro uomo.
I riflessi di Frank erano estremamente veloci, ma la pesantezza della muscolatura lo rendeva più lento dell’uomo che lo stava affrontando e che si muoveva con un’agilità e una velocità fuori dal normale, nonostante la fluidità dei movimenti Jego ricevette una manata diretta al capo che gli riuscì di evitare girandosi di lato, il colpo lo prese fra le scapole mandandolo a sbattere contro il bancone e facendogli uscire tutto il fiato dai polmoni.
Ripresosi si scostò appena in tempo per evitare il secondo attacco che l’altro, ormai sicuro di averlo in pugno, stava sferrando finendo anch’egli contro il bancone e trovandosi di fianco e faccia a faccia con il suo avversario.
A quel punto Jego, flettendo le gambe e raddrizzandole di scatto riuscì con un piccolo balzo a essere con la fronte all’altezza del naso dell’altro, con una potente testata gli ruppe il setto nasale; tentare una spazzata era impossibile, Frank era così pesante che Jego non sarebbe riuscito nemmeno a farlo vacillare quindi gli restava un’unica possibilità: mentre l’uomo indietreggiava quasi stupito per l’audacia di chi gli stava di fronte Jego si spostò di fianco, caricò la gamba e diede un colpo con la pianta del piede sulla caviglia dell’omone spezzandone l’articolazione.
Non più sorretto Frank cadde a terra con un tonfo urlando improperi e di dolore spostando le mani le mani dalla faccia colpita alla caviglia fratturata, a quel punto Jego proseguì nell’azione con ferocia, tenendo indice e medio rigidi e divaricati colpì gli occhi dell’altro accecandolo.

Tutta l’azione non era durata più di due minuti, il secondo uomo emettendo suoni gutturali e incurante del sangue che copioso dalla bocca gli stava inzuppando il davanti della camicia, si diresse in aiuto del compagno.
“Vuoi che ti strappi le orecchie a morsi? Non ti basta non avere più un pezzo di lingua?” parole dette con calma e con il tono gelido di chi sa di poterlo fare.
L’altro alzò i palmi in segno di resa e cercò di aiutare il suo capo a rialzarsi per poi allontanarsi verso l’uscita sostenendolo, prima di uscire Frank si girò nella direzione in cui ipotizzava si trovasse Jego e con rabbia esclamò: “Non finisce qui!”
“Puoi starne certo che non finisce qui, dì a Genko che presto gli farò una visita e ricordagli la mia promessa, lui sa di cosa parlo”
Mentre i due malconci uscivano, la testa del custode affiorò da dietro il bancone e con voce tremante chiese: “Voi chi siete Signore?” un profondo rispetto misto a paura e ammirazione traspariva nell’enfasi sull’ultima parola.
“Uno a cui non piacciono i prepotenti” fu la risposta di Jego che tornò a sedersi chiudendo gli occhi con un’espressione accigliata e massaggiandosi il fianco per il colpo subito.

 


 

Nel suo ufficio Genko chiacchierava con Gamile, stava cercando di rincuorare il fratello: “Vedrai Gam, qui starai benissimo, non ci pensare più, è stato uno sfortunato incidente, qui sarai al sicuro e… “ la frase fu interrotta dalla porta che fece un gran botto sbattendo contro la parete tanta era stata la spinta per la sua apertura.
I due sobbalzarono e con gli occhi sgranati osservavano le due figure entrate, uno con la camicia imbrattata di sangue emetteva dei mugolii e l’altro sorretto dal primo, brancolava come se fosse cieco.

…precedente

continua…

 

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