Jego – La saga – Il branco

 

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Fratello ritrovato

 

 

C’era vento quella mattina, non capitava spesso nella Terra di Mezzo.
Il fischio prodotto dalle folate era come un invito al quale Jego non poteva sottrarsi.
Uscì sulla veranda, inspirò profondamente percependo gli odori che quelle carezze d’aria gli permettevano di assaporare.
Riconobbe il secco del fieno, l’acidulo dell’erba appena tagliata, il dolce delle gardenie.
I refoli sollevavano piccoli vortici di polvere dalla strada, gli alberi in cima alla collina, ondeggiavano con lo stesso movimento sinuoso dei capelli di una donna quando se li accarezza.
Un senso di urgenza lo pervase, gli si avvolse intorno come un mantello, l’inquietudine lo fece fremere e i muscoli gli si tesero sotto gli abiti.
Fra tutti gli odori ne aveva colto uno, diverso, estraneo a tutti quelli che percepiva, ma a lui familiare: l’odore del branco.

il branco

Cercò, spaziando con lo sguardo la valle che gli stava di fronte, l’origine di quell’odore gli faceva rivivere i momenti per lui indimenticabili, quelli trascorsi con Crol.
Continuò a scrutare, ma come si aspettava, non vide niente.
Rientrò in casa con la mente in subbuglio, là fuori c’era un lupo, uno del “suo popolo”, l’aveva riconosciuto: sapeva che era Yul, ma non l’aveva visto, troppo bravo, come ogni vero lupo stava studiando il territorio prima di rendersi visibile.
Tante le domande affollavano la mente, ma sarebbero rimaste tutte senza risposta almeno finché non avesse potuto incontrare il loro latore.
Decise di aspettare la sera.
Quando le stelle iniziarono a punteggiare il blu scuro del cielo, tornò sulla veranda lanciando un unico ululato: “sono qui!”.
Dalla macchia di alberi di fronte alla casa giunse un altrettanto unico ululato di risposta: “arrivo”.
La luce della luna si rifletteva su pelo del grosso lupo grigio che apparve improvvisamente.

Yul_01
L’incedere, una volta maestoso, era incerto, guardingo, il muso segnato da cicatrici si muoveva da un lato all’altro in cerca di eventuali pericoli, gli occhi gialli avevano perso la luce di fierezza che tempo addietro li illuminava.
“Solo?” fu l’unica domanda che pose Jego mentre sentiva una stretta allo stomaco vedendo il comportamento dell’altro.
“Sì, solo e forse unico sopravvissuto” fu la risposta.
A uno spettatore quel dialogo sarebbe apparso come una serie di ringhi, di suoni bassi di gola, movenze di coda per uno e di mani per l’altro non possedendo la stessa appendice.
Nell’udire quella risposta, la morsa dallo stomaco si trasferì al cuore e un’infinita tristezza pervase l’animo del ragazzo.
“Non c’è più nessuno?”
“Non che io sappia”.
“Predatori?”.
“Peggio, umani” l’ultima frase di Yul era carica di disprezzo.
“Dove?”
“A nord”.
“Come hai fatto a trovarmi?”.
“Un fratello di branco si ritrova sempre”.
“Da quant’è che non mangi?”.
“Troppo!”
“Vieni” disse Jego rientrando in casa e lasciando la porta aperta.
Yul si avvicinò alla soglia annusando e ispezionando l’interno, il suo comportamento suscitò, ancora una volta, l’ammirazione dell’altro: mai perdere l’attenzione anche se chi hai davanti è un amico.
Aperta la dispensa, prese due conigli messi lì a frollare.
“Mangia, poi parleremo”.
In pochi bocconi il pasto terminò; rifocillatosi Yul distese le zampe anteriori in avanti guardando negli occhi Jego.
“Cosa è successo?”.
“I territori di caccia sono stati invasi, le prede diminuite e quelli con le corna chiusi in spazi protetti da intrecci impossibili da masticare. Nei boschi ci sono cose con i denti che spezzano le zampe”.
“Maledetti!” in Jego stava montando il furore.
“Ho visto Pran azzannarsi la zampa rimasta fra i denti di quella cosa, fino a staccarsela per poter fuggire, ma non è andato molto lontano, hanno seguito le tracce di sangue e ora non respira più”.
Due lacrime brillarono negli occhi del ragazzo, che strinse i pugni così forte da far apparire sui palmi delle mani gocce di sangue là dove le unghie avevano tagliato la pelle.
“Dormiamo ora, domani vedremo”.
A queste parole Yul, finalmente più rilassato, si distese su un fianco e con un sospiro si addormentò.
Jego stette a guardare il fianco dell’amico che si alzava e abbassava con ritmo regolare.
La certezza del branco disgregato, dei suoi fratelli uccisi riempiva la sua mente mentre un misto di rabbia, tristezza e rassegnazione gli pervadeva l’animo.
Ancora una volta sentiva di dover lasciare la Terra di Mezzo, ancora una volta si sentiva obbligato a tornare nel mondo, lo stesso che lo aveva attirato la prima volta, quando era divenuto un “fratello di branco”; in quel mondo in cui era stato “obbligato” a tornare alla ricerca di una vecchia amica.
“Nessuno può far male a un fratello e passarla liscia!” con questo pensiero chiuse gli occhi preparandosi a un sonno agitato.

 

Un ringhio lo svegliò di soprassalto, in pochi secondi ebbe chiara la situazione, era mattino, la porta aperta inquadrava il piccolo Grow, il figlio del connestabile che con gli occhi sbarrati fissava Yul pronto a scattare, con il pelo ritto sulla schiena e la coda impennata a dichiarazione che era pronto alla sfida.
Jego, con un suono basso di gola, disse all’amico “Va tutto bene, non è un nemico” e subito dopo rivolgendosi al fanciullo: “Vieni Grow, il mio amico qui è solo un po’ nervoso”.
Yul si accucciò distendendo il pelo ma fissando il fanciullo ancora impietrito e con un ringhio
“Chi è?”
“Un amico” fu il ringhio di risposta,
“Fratello?”
“No, solo tu sei il fratello”.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono ancora di più, passando dal timore alla meraviglia mentre con un dito tremante indicava il lupo accucciato: “Ma… ma… tu parli con lui, con un lupo!”
“Certo, cosa c’è di strano?”
“Ma… ma… non si parla con i lupi”
“L’ho appena fatto ragazzo, lui è un fratello, fratello di branco”.
“Allora insegnerai anche a me a farlo, fa parte del mio addestramento?”
Con un sorriso Jego lo condusse nella stanza dicendo: ”Prima di questo dovrai imparare molte altre cose, ma forse, fra un po’, fra un bel po’…”
“Posso accarezzarlo?”
“Se lui vuole”.
Un movimento delle mani e un altro suono di gola: “Può toccarti?”
“E’ un cucciolo?”
“Si”
“Se ha rispetto, si può avvicinare”.
“Vieni Grow, puoi accarezzarlo, ma fallo senza paura, non toccargli le orecchie e immagina di accarezzare tuo padre”.
“Ma io mio padre non l’ho mai accarezzato”.
“Non importa, se lo facessi useresti del rispetto”.
“Per forza, lui è grande, come te”.
“Ecco, con Yul è la stessa cosa”.
“Yul è il suo nome?”
“Si”.
Con un po’ di apprensione il fanciullo si avvicinò al grosso animale e con timore gli passò la manina sul muso.
“Buongiorno sign… ehm no, buongiorno lupo Yul” in cambio ricevette una grossa leccata sulla mano che subito fu ritratta, ma per non offendere “il lupo Yul” la mano imbrattata di saliva tornò a sfiorare il muso proteso verso di lui.
Jego osservava deliziato la scena, i due avevano fatto amicizia.
“E’ morbido!” proclamò la vocina squillante
“Odora di latte” il ringhio si sovrappose allo strillo.
A Jego non rimase che scoppiare in una risata, la tensione accumulata, si stemperò in quell’attimo di felicità.
“Resterà qui con te?”
La domanda lo riportò bruscamente alla realtà.
“No, dovremo andare via”.
“E… e… non tornerai?” alla domanda due lucciconi erano apparsi negli occhi di nuovo sgranati per la paura di perdere il suo maestro.
“Ritornerò, non so quando, ma ritornerò”.
“Ci penserò io a tenere tutto in ordine, lo giuro!” l’esclamazione fu accompagnata dalla manina stretta a pugno, portata sul petto all’altezza del cuore.
Commosso Jego lo accarezzò, arruffandogli i capelli: “ Lo so piccolo amico, lo so!”

…precedente

continua…

 

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