Tutto iniziò con un bacio

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Le parole hanno un peso.
Per alcuni leggero, per altri gravoso.
Se volete però, le parole possono dipingere sogni

 

Il malessere.
Una costante nella sua vita.
Aveva solo vent’anni, non erano tanti, ma nemmeno pochi.
Le sue idee non piacevano a nessuno.
Le ragazze, quelle poche a cui era riuscito a confidare i propri sogni, le proprie aspettative di vita, lo avevano guardato con sospetto; nei loro occhi era riuscito a leggere: “Questo qui cerca di fregarmi, tante belle parole ma poi… come tutti gli altri, vuole una cosa sola”.
Anche i suoi coetanei si tenevano alla larga o quasi, lui andava bene quando in gruppo c’era bisogno che qualcuno strimpellasse con la chitarra, finché cantava le canzoni del momento andava tutto bene, ma poi… quando, fra una e l’altra, cantava una delle sue canzoni, chissà perché tutti assumevano un aria annoiata, svagata e qualche commento sottovoce era riuscito a sentirlo: “Ecco, ci risiamo!”
Sulla strada polverosa, assorto in questi pensieri, prese a calci dei ciottoli che ruzzolarono nella cipria grigia, sollevando piccole nuvole e cozzando fra loro, quella specie di suono gli parve una musica: si sedette su un paracarro, iniziò a pizzicare le corde cercando di trovare gli accordi che riproducessero il suono appena sentito e le parole che descrivessero quella piccola nebbia che si stava di nuovo depositando al suolo.

Quando gli parve di esserci riuscito, si alzò per proseguire sulla strada bianca, l’avrebbe condotto alla casa del vecchio (ma non l’avrebbe mai chiamato così in sua presenza) come lui soleva dire: “Non sono vecchio, sono vissuto, HO vissuto!”
Il ritmo dei suoi passi si accordava perfettamente alla musica che aveva appena fatto scaturire dalle corde, le parole, che si ripetevano nella mente, cadenzavano la velocità della camminata, ora veloce, ora strascicata ora così lenta da farlo sembrare un moonwalker.
Percepì la musica ancora prima di arrivare all’ultima curva e vedere la casa che conosceva così bene: bianca, con un portico che le girava tutt’intorno, delimitato dalle arcate tonde che terminavano in un muretto basso, dando l’impressione di essere un rustico spagnolo o di un convento eretto da un architetto pazzo che aveva posto il chiostro all’esterno anziché all’interno.
Ancora una volta, come tutte le precedenti, si domandò perché mai l’abitante della casa si ostinasse a sentire quelle melodie che risalivano ai tempi in cui lui non era ancora nato.
Nostalgia?
Incapacità di adeguarsi al presente?
Sfida?

Decise che non avrebbe mai trovato una risposta.
Quelle note erano troppo diverse da quelle che lui sentiva nella sua anima, così estranee alla canzone appena composta che non gli riusciva di classificare l’insieme dei suoni come canzoni; alcune gli sembravano una lagna, altre gli strilli di invasati, altre ancora ossessionanti ma tutte, per il vecchio, avevano un nome: rock, rhythm’n blues, soul.
L’ultimo tratto di strada che conduceva alla casa era in leggera salita, quasi che l’uomo l’avesse costruita sulla piccola collinetta per poter meglio osservare chi si avvicinava.

Là sotto il portico, sulla sedia a dondolo, con l’immancabile pipa, avvolto da una azzurrina nuvola di fumo puzzolente, lo stava fissando e, senza togliere dalla bocca il piccolo vulcano che reggeva con la mano destra, le sue labbra si piegarono in un ghigno, non beffardo ma di contentezza nel vederlo avvicinarsi con la chitarra a tracolla, i capelli lunghi fluttuanti sulle spalle, mossi dalla leggera brezza che attenuava, se pur di poco, il calore del sole.
“Tuo padre non ti ha ancora detto che devi tagliarti i capelli?”
“Tutti i giorni!” per niente stupito dalla forma di saluto così poco convenzionale.
“Quell’uomo non ha mai capito niente e mai capirà qualcosa!” il ghigno aveva assunto, adesso sì, una piega beffarda.
“Stai parlando di tuo figlio, nonno!”
“E allora? Le due cose non sono incompatibili!”
La malizia faceva apparire i suoi limpidi occhi azzurri ancora più chiari.
“Vieni qui a sederti al fresco.” nel dirlo con la mano libera dalla pipa aveva dato un paio di colpetti alla sedia che gli stava di fianco, la mossa aveva fatto traballare pericolosamente il tavolino sul quale erano posizionati una bottiglia dal contenuto ambrato e due bicchieri.
“Come sapevi che sarei venuto?” indicando i due bicchieri.
“I folletti, le fate, l’aria, mi dicono sempre tutto, non c’è bisogno che mi muova di qui per sapere le cose.” altro sorriso malizioso.
“Papà afferma che queste cose sono l’indice di una senilità incipiente, non è possibile che una persona sana e razionale possa credere a queste cose, parole sue”.
Una fitta ragnatela si disegnò intorno a quegli occhi così incredibilmente chiari.
“Ho sempre saputo che quel ragazzo ha il cervello di granito, non sa cosa sia la poesia della vita!”
“Beh proprio ragazzo non direi, ha quarant’anni suonati”.
“Un ragazzino!”.
“Io allora?”
“Tu sei un ragazzino più piccolo, ma non meno importante.”
Ogni volta la definizione che il nonno dava di lui, sempre con parole diverse, gli arrossava le guance e forse, proprio perché così in contrasto con il suo quotidiano, lo apprezzava così tanto da sentirsi un po’ a disagio.

Per celare il momento d’imbarazzo iniziò con:
“Sono venuto per…”
“Shhh”
Il piede del nonno aveva iniziato a battere ritmicamente il tempo al suono che in quel momento era diffuso dagli altoparlanti all’interno della casa, ma a un volume così alto che tutto il portico sembrava esserne avvolto.
“Grandi Creedence!”
“Chi?”
“Giovane miscredente, i Creedence Clearwater Revival! Questa è la mia preferita: Who’ll stop the rain”
“Eh?”
“Umpf!” “Chi fermerà la pioggia”.
“Nessuno può fermare la pioggia!”
“Appunto!”
“Allora perché sottolineare una cosa tanto ovvia?”
“Noto che la perniciosa razionalità di tuo padre sta infettando anche te, stai molto attento ragazzo mio; il mondo è fatto anche di poesia, di quello che si può leggere fra le righe o intravvedere fra le pieghe dell’anima o ancora, capire quello che poche strofe vogliono trasmetterti.” Le ultime parole furono accompagnate dal gesto di acchiappare la musica che si diffondeva nell’aria, quasi fosse una farfalla e, chiusa la mano, portarsela al cuore.

Il riferimento al padre gli infiammò le orecchie.
“Non sono come mio padre, lui non capisce o non vuole capire perché scrivo e compongo, alle volte sembra più lui coetaneo dei miei pseudo amici, molto più di quanto mi senta io con loro”.
“Non hai amici?” sulla faccia dell’uomo si era dipinta un’espressione di incredulità e di sgomento; premette un tasto del telecomando interrompendo la musica.
Non si era aspettato una reazione simile e le sue orecchie diventarono incandescenti, non voleva sentirsi sminuito ai suoi occhi, si accorse di avere esagerato, di aver lasciato trapelare la marea che gli si agitava dentro.
“Beh, no, un po’ di gente la conosco, con loro ci parlo, ma quando suono la mia musica o recito qualcuna delle mie poesie è come se fossi circondato da fantasmi”.
“E… le ragazze?”
“Con loro peggio che mai!” l’espressione era quella di un cocker.
“Ah, capito! Qui ci vuole un buon tonico” così dicendo versò in ognuno dei due bicchieri due dita del contenuto ambrato della bottiglia.
“Bevi, poi parleremo!”
“Se lo sapesse papà che mi porti sulla strada del vizio, ti leverebbe la pelle” rinfrancato e sorridente per la complicità appena acquisita.
Gli occhi ridenti del vecchio si fissarono nei suoi mentre esclamava: “L’alcool scioglie le lingue, addormenta le coscienze, fa sognare e…”
“Fa male”.
Spallucce: “Se ti preoccupi di questo già da ora, stai prendendo proprio una brutta piega”.
“Non mi preoccupo, ripeto quel che dice papà, per quel che può valere…” la risposta era un po’ piccata, anche se cercò di non dimostrare che lo infastidiva essere trattato come un bambino”.
“Tuo padre è un testone, lascia perdere quel che dice lui, piuttosto: dimmi quello che pensi e dici tu, quello è sicuramente più importante”.

La nuova iniezione di fiducia gli fece sentire più calore dell’alcool che, anche se centellinato, gli stava pervadendo lo stomaco con un piacevole tepore.
“A dire il vero non so da dove iniziare”.
“Magari dal principio” l’espressione da allarmata era passata a divertita.
“Già, ma io non so qual’è l’inizio”.
“Bevi e ti si scioglierà la lingua! Un inizio c’è sempre, solo che non se ne tiene mai conto.” le rughe ora erano più accentuate da un sorriso.
Con un generoso sorso il contenuto del bicchiere sparì, dopo di che si tolse la chitarra dalla spalla e si accinse a suonare ciò che aveva appena composto, gli sembrava di avere le parole della canzone stampate in testa; sicuramente era la più bella, molto più bella di tutte le precedenti.
“Venendo qui ha dato un calcio a dei ciottoli, il loro rumore mi ha fatto pensare a una musica e alle sue parole, vuoi sentirla?”
“Dopo, ma questa è una fine, non un inizio!”
“Come faccio a spiegare se tu mi contraddici?”
“Io non contraddico nessuno, dico solo che non puoi confezionare un risultato, servirlo su un piatto d’argento dall’alto della tua bravura e pretendere che io capisca senza spiegarmi il perché e il percome!”
“Proprio tu parli, afferri la musica, te la porti al cuore e io dovrei capire cosa vuoi dirmi, che significato dovrei apprendere per essere illuminato e non più miscredente!?”
Ora le orecchie erano rosse non più di imbarazzo ma di stizza.

“Calma ragazzo, era una provocazione, non volevo offenderti, volevo solo farti capire che se tu per primo non sai individuare ciò che è l’origine del vulcano che hai dentro, non riuscirai mai a comunicare agli altri l’intensità delle tue emozioni.”
“Ah certo, tu invece spieghi tutto dicendomi che è bella una canzone che parla di una cosa ovvia, come l’impossibilità di fermare la pioggia!”
“Sicuro, perché questa è l’ineluttabilità della vita, se non sai accettarla, se non ti riconosci più piccolo di una goccia d’acqua che ti bagna indipendentemente dalla tua volontà, non potrai mai accettare la Vita, non potrai mai crescere fino a capire che per quanti ripari cerchi per non farti bagnare, lei continuerà a cadere e quando i ripari saranno finiti, ti troverai bagnato come un pulcino, triste e con le tasche piene di autocommiserazione!”
L’azzurro degli occhi ora sembrava ghiaccio e la voce che aveva assunto una nota dura esclamò: “Ricorda che tu sei iniziato con un bacio!”.

“Guarda che non ho bisogno di educazione sessuale, so benissimo qual è l’atto che origina la vita e…”.
Con un gesto imperioso della mano il vecchio lo bloccò: “Alt, ancora una volta parti dalla fine! L’atto che genera la vita è meccanico, biologico, ma cosa ci sta dietro quell’atto? Cosa porta due persone ad amarsi se non un bacio?”
La comprensione si stava facendo strada fra i fumi che il liquore emanava dallo stomaco al cervello.
“Ah, ho capito! Non so quando è iniziata, penso che tutto dipenda da come vedo ciò che mi circonda: quando ho iniziato a parlare mi veniva chiesto di descrivere le cose, io spiegavo ciò che vedevo e loro sorridevano, dicevano che quelle cose non erano come le avevo descritte, avevano un’altra forma e io dovevo capire la necessità di vederle come andavano viste, ma se io le vedevo così cosa potevo fare? La cosa poi è proseguita e ora più che mai, per una ragione o per l’altra, c’è sempre uno scontro, io non ho voglia di sottomettermi!”
Con un moto nervoso, aveva fatto vibrare le corde, il colpo dato alla cassa era la sottolineatura della frase che esprimeva tutta la delusione provata rivivendo le passate frustrazioni.

“Ecco perché non ho amici, quando canto le cose che vedo, che vivo, non ascoltano, anzi mi consigliano di dedicarmi a qualcosa di più “leggero” di più divertente, puah!”
Lo sputo aveva sfiorato la scarpa del nonno.
Guardando stupito il getto di saliva e sbalordito dalla veemenza del discorso, il vecchio esclamò:
“Ehi non c’è bisogno di arrabbiarsi, non hai pensato che forse non ce la fanno a reggere qualcuno che gli ricorda come sono fatti, che gli spiattella la loro origine, che porta in superficie ciò che hanno dentro e si vergognano di dimostrarlo? Quando trovano qualcuno con il coraggio che a loro manca, l’unica cosa che sanno fare è quella di allontanarlo da sé o consigliarlo di essere diverso da quello che è.” Le rughe si erano distese in un’espressione di finto autocompiacimento: “Guarda che bravo, ho fatto pure una rima!”
“Tu dici che è per questo?”
“Certo, cosa credi?”
Armeggiando con il telecomando fece ripartire la musica, ma la canzone era diversa.
“Questa che cos’è?”
“Bad moon rising”
“E…?”
“Sorgerà una cattiva luna”
“Cosa vuol dire?”
“E’ un avviso, l’espressione di un’emozione, il coraggio di dire ciò che si pensa e per questo considerato scomodo, per tanti è meglio tapparsi le orecchie piuttosto che ascoltare quella che potrebbe essere una delle verità possibili.”
I denti finti scintillavano al suono di quelle parole, dette con così tanta passione che l’aria sembrò si ispessisse avvolgendo il ragazzo come una coperta protettiva.

“Ma… allora non c’è niente di diverso da quello che canto io! Anche se le note e le parole sono diverse.”
“Cosa credevi, di essere l’unico che ha avuto origine da un bacio?”
“No, ma… sono canzoni di quarant’anni fa!”
“E allora, pensi forse che le idee abbiano una scadenza?”
“Che domande, certo che no!”
“Bene, questo è l’inizio! Tu ora hai una responsabilità verso te stesso caro mio, da oggi in poi non puoi più dire di non sapere, puoi dirlo agli altri, ma quando ti guardi allo specchio, chi stai vedendo… sa!”
L’indice scarno era puntato verso di lui, non accusatorio, ma come volesse indicare una meraviglia.
Ora era il ragazzo a sorridere, in uno slancio d’affetto posò la chitarra, abbracciò il nonno e gli scoccò un grosso bacio sulla fronte.
Tutto il malessere era passato.
Mentre tornò a sedersi il vecchio brontolò:
“Vedi? Tutto inizia con un bacio!”

 


Who’ll Stop The Rain?
As long as I remember the rains been coming down.
Clouds of mystery pourin’ confusion on the ground.
Good men through the ages, tryin’ to find the sun;
And I wonder, still I wonder, who’ll stop the rain?

I went down Virginia, to seek shelter from the storm.
Caught up in the fable, we watched the tower grow.
Five year plans and new deals, wrapped in golden chains.
And I wonder, still I wonder who’ll stop the rain?

We heard the singer playin’, and how we cheered for more.
The crowd had rushed together, just tryin’ to keep warm.
But still the rain kept fallin’, fallin’ on my ears.
And I wonder, still I wonder who’ll stop the rain?


Chi fermerà la pioggia?

Finché mi ricordo che le piogge stavano scendendo.
Nuvole di mistero riversano la confusione sul terreno.
Buoni uomini attraverso i secoli, cercando di trovare il sole;
E mi chiedo, mi chiedo ancora, chi fermerà la pioggia?

Sono sceso in Virginia, cercando un rifugio dalla tempesta
Catturato in una favola, ho visto la torre crescere
Piani di cinque anni e nuove occasioni, avvolte in catene d’oro
E mi chiedo, ancora mi chiedo, chi fermerà la pioggia?

Sentivamo i cantanti suonare e volevo che cantassero ancora,
La folla si teneva raggruppata per stare al caldo
Ancora la pioggia scendeva,cadeva sulle mie orecchie,
E mi chiedo, ancora mi chiedo, chi fermerà la pioggia?


Don’t go ‘round tonight
For it’s bound to take your live
There’s a bad moon on the rise.

I hear hurricanes a blowin’
And I know the end is coming soon
I fear rivers overflowing
I hear the voice for rage and ruin.

So don’t go out tonight
It’s bound to take your live
There’s a bad moon on the rise.

I hope you got your shit together
Hope you are quite prepaired to die
Looks like we’re in for nasty weather
One eye taken for an eye.

Don’t go ‘round tonight
It’s bound to take your life
There’s a bad moon on the rise.


Non andare in giro stanotte
Ti prenderà sicuramente la vita
Sta sorgendo una luna cattiva

Sento soffiare gli uragani
So che presto arriverà la fine
Temo lo straripare dei fiumi
Sento la voce di rabbia e rovina

Non andare in giro stanotte
Ti prenderà sicuramente la vita
Sta sorgendo una luna cattiva

Spero che tu abbia sistemato le tue faccende
Spero tu sia pronto per morire
Sembra che noi si stia per avere brutto tempo
Un occhio è preso per un occhio

Non andare in giro stanotte
Ti prenderà sicuramente la vita
Sta sorgendo una luna cattiva

 


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