Le sorprese del tempo

Il fischio acuto si trasformò in una esplosione di musica rap: la radiosveglia stava facendo il suo dovere.

“Umpf!” la destra brancolante annaspò in direzione del comodino fino a trovare il pulsante per spegnere l’infernale aggeggio che gli stava trapanando il cervello.

Alfred scostò le coperte, faticosamente appoggiò i piedi nudi sul freddo pavimento, il brivido s’insinuò nel torpore e le palpebre ancora incollate dal residuo di sonno si aprirono leggermente.
Al centro della stanza, dopo la regolare visita in bagno, lavato e sbarbato iniziò a vestirsi con gli abiti accuratamente ripiegati sulla sedia, sostituto di quel mobile che in tempi antichi era chiamato maggiordomo e sulla cui spalliera era avvolta la giacca.
Lo specchio davanti al quale si annodava la cravatta, gli restituì l’immagine del tetro panorama visibile attraverso i vetri: uno squallido vicolo, fra due squallide case di una squallida città in cui Alfred svolgeva uno squallido lavoro.
Garzone nella bottega di Boris l’orologiaio.

*

Orfano dei genitori Alfred era stato accolto dagli zii.
Miriam lo aveva allevato e trattato come il figlio mai avuto e tanto desiderato.
Boris, uomo arcigno e metodico trattava il nipote come una risorsa quasi gratuita: vitto, alloggio e una misera paga erano considerati un buon investimento se paragonati alla spesa di un dipendente.

La morte di Miriam aveva accentuato ancora di più il laconico carattere di Boris, ora si limitava agli ordini dati in bottega e a qualche parola durante la cena che maniacalmente doveva essere consumata alle 20.30.
Alfred, dalla chiusura del negozio, aveva un’ora per cucinare e preparare la tavola, quando Boris si sedeva a tavola riposizionava immancabilmente piatto posate e bicchiere, dopo essere stato servito mangiava senza alzare gli occhi dal cibo anche nelle poche volte che interloquiva con il nipote; al termine prendeva posto nella poltrona immergendosi nella lettura di un libro che chiudeva alle 22.30 esatte, ora di coricarsi.
Il dolore per la morte della moglie sembrava avesse prosciugato le sue energie, le rughe si erano infittite, il viso sempre contratto e gli occhi si muovevano incessantemente come i meccanismi che riparava e vendeva.

Terminate la faccende Alfred si rifugiava nella sua stanza e a luce spenta si sedeva di fronte alla finestra, che piovesse o fosse sereno il panorama rimaneva immutato, la fioca luce dei lampioni illuminava il selciato sgretolato e la parte bassa delle due case, argini del vicolo quasi sempre deserto se non per qualche inquilino che rincasava frettolosamente.
Accompagnata dalla musica in sottofondo la sua mente vagava permettendogli di vedere al di là dei vetri i paesaggi fantastici descritti nelle tante letture fatte da bambino e ora da adulto; con una personalissima fantasia riusciva a vedere foreste equatoriali misteriose e popolate di esploratori, paesaggi con draghi e razze aliene nonché con intrepide fanciulle, atmosfere tenebrose colme di intrighi, spie, segreti e operazioni illegali.
I cambiamenti di scenario variavano con il variare della musica che proveniva dalla radio sveglia, acquistata con i risparmi ottenuti da quattro mesi di faticosa rinuncia a caffè e sigarette.
Quel piccolo elettrodomestico era la porta di accesso a una dimensione diversa, un luogo in cui i sogni anche quelli più audaci si dipanavano di fronte ai suoi occhi rendendo tollerabile, in quelle poche ore notturne, la sua quotidianità.

*

Con un’ultima rassettata ai capelli scese l’unica rampa di scale che terminava in una piccola anticamera, aprì la porta di ingresso per accedere al vicolo e varcata la soglia la richiuse con la doppia mandata della serratura; gli effluvi che aleggiavano nell’aria lo accompagnarono fino allo sbocco sulla strada principale, qui altri effluvi, quelli del traffico si sostituirono ai precedenti e si affievolirono solo quando entrò nel negozio le cui scintillanti vetrine permettevano agli orologi esposti di far bella mostra di sé.
Una routine quotidiana a cui ormai non faceva nemmeno più caso se non sporadicamente, accadeva quando l’immagine di un sé stesso robotizzato si affacciava prepotente dai suoi pensieri.

Boris era al centro della bottega dando le spalle alla porta e con le braccia conserte fissava le mensole dietro il bancone, all’ingresso del nipote si voltò e fissandolo lo apostrofò duramente: “Se continui così non sarai mai capace di fare un lavoro perfetto!”.
All’espressione interrogativa di Alfred indicò un orologio incassato in un mobile a vetrina e posto al centro dietro il bancone, segnava un’ora diversa da tutti gli altri che invece segnavano tutti la stessa ora: le 8.31.
L’oggetto in questione era l’orgoglio di Boris, un enorme orologio antico, il quadrante era istoriato, invece dei numeri erano incise ventiquattro lettere di colore blu brillante, una serie di piccoli quadranti corredati da un’unica lancetta indicavano mese e nome del giorno, le lancette principali terminavano con dei piccoli pugni chiusi tranne il dito indice puntato in corrispondenza dei segni per le ore e i minuti, secondo ciò che era indicato erano le 22.30, il mese marzo, il giorno giovedì, completamente sfasato dalla data reale: un martedì di maggio.
Boris furioso proseguì senza lasciare spazio alla replica di Alfred: “Mi sono fidato a fartelo pulire, e cosa mi ritrovo? Un orologio che non funziona ed è la prima cosa che vedono i clienti, vedi di sistemarlo e sappi che decurterò dalla tua paga le ore che impiegherai per farlo!” ciò detto uscì dal negozio per far sbollire la rabbia lasciando un attonito Alfred a contemplare il motivo della sfuriata, lui era sicuro: la sera prima aveva controllato – per ben tre volte – che segnasse l’ora il mese e il giorno corretti.

Scuotendo la testa perplesso si avviò dietro il bancone per mettersi all’opera e riparare “il danno” quando sentì la porta del negozio aprirsi ruotò su se stesso pronto a dare le proprie giustificazioni allo zio e davanti al visitatore si raggelò: un cliente, la corporatura longilinea, un’altezza superiore al normale, una gran massa di capelli candidi e un’espressione divertita sul viso stava indicando l’orologio.
Alfred colto da un leggero attacco di panico cercò di sviare l’attenzione dello strano individuo e deglutendo più volte esordì con: “Buon… giorno… signore, co… come posso servirla?”
Il sorriso dello sconosciuto si accentuò al balbettio di Alfred, gli occhi di un verde intenso fissavano il giovane mentre replicava: “Voi non potete fare nulla per me giovanotto, io posso fare qualcosa per voi” terminato di parlare puntò l’indice della destra verso l’orologio, un brusco movimento circolare e le lancette si posizionarono alla stessa ora di tutti gli altri orologi segnando le 8.45 di un martedì di maggio.
Alfred assisté alla scena con gli occhi sgranati e la bocca aperta dallo stupore, la chiuse di scatto e nonostante la secchezza delle fauci riuscì a chiedere: “Voi chi siete signore?”
“Sono quello che chiamate tutte le sere giovanotto”.
Sentendo che le gambe stavano cedendo allungò una mano per sostenersi al bancone, scuotendo la testa replicò: “Io non chiamo proprio nessuno e tanto meno voi tant’è che non so nemmeno il vostro nome” l’altro sornione: “In termini moderni le mie iniziali sono M.M. vi basti questo e sappiate che tutte le sere il tempo vi fa un regalo grazie a me, si ferma nelle ore che passate alla finestra e riprende quando vi coricate, infatti se contiamo dalla vostra nascita avvenuta un giovedì di marzo alle 22.30 a oggi siete molto più giovane dell’età anagrafica segnata sui vostri documenti”.

Frastornato, Alfred non credeva alle proprie orecchie: “Volete dire che quello che immagino tutte le sere in qualche modo mi fa crescere più lentamente?”
Con un ennesimo sorriso l’anziano scosse il capo: “Non più lentamente giovanotto, solo in modo diverso, vi osservo da molto tempo e voi date speranza, è per questo che concedo al tempo di farvi quel regalo”.
Sempre più frastornato Alfred di nuovo sgranando gli occhi:
“Io, speranza?”
“Sì, la speranza a chi non lascia morire i sogni” la voce del vecchio sembrò rimbombare come in un ambiente enorme e completamente vuoto.
Accadde l’ennesima stranezza: Alfred si trovò a fissare la bottega vuota, giratosi verso l’orologio che ora segnava l’ora e la data esatte si portò alla fronte l’indice e il medio della destra uniti in un volitivo saluto militare.

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