L’arcobaleno è una magia?

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Dite la verità.
Ogni volta che appare in cielo ci pensate.
Se non l’avete ancora fatto
probabilmente da questo momento sì.

 

 

 

arcobaleno1

 

Che giornata infernale!
Iniziata con i problemi degli utenti, risolti solo in parte e finita peggio: qualcuno ha pasticciato cercando di sistemare i dati registrati e il rimedio si è rivelato peggiore del male.
Il capo, nel suo ufficio con la porta chiusa e le veneziane che impediscono di vedere attraverso i vetri, sbraitava come se gli avessero rapito la moglie; le urla aleggiavano nella sala dove lavoriamo, causando un silenzio carico di tensione, mi è sembrato di percepire il pensiero degli altri, molto simile al mio: ”speriamo che non ce l’abbia con me”.
Alla fine, con un paio d’ore di straordinario, siamo riusciti a sistemare il pasticcio e a far funzionare di nuovo il flusso delle informazioni.
Inutile sottolineare che il mio umore è nero.
Ora come se non bastasse piove, se c’è una cosa che proprio non sopporto è inforcare la moto quando il cielo piange.
Tra silenziosi improperi avvio il mezzo e rassegnato imbocco la strada di casa. Le nuvole, quasi mi avessero sentito offendendosi, hanno smesso di riversare acqua e un timido sole al tramonto fa capolino all’orizzonte.
Nel cielo appare la magia dell’arcobaleno, sì lo so che la spiegazione scientifica è che si forma per la scomposizione della luce attraverso le gocce di umidità, ma io preferisco pensare che sia una magia.
Più rasserenato ricordo la leggenda che narra di una pentola d’oro posta alla fine del colorato arco.
Detto e fatto: vado a cercare la pentola che, sono sicuro, mi cambierà la vita e così potrò licenziarmi, non prima di essermi tolto la soddisfazione di mandare al diavolo il mio capo di fronte a tutti.
Lascio la strada principale e prendo una laterale che si snoda fra i campi dove sembra abbia termine l’arcobaleno.
La pioggia ha allontanato i contadini, stradina e campi sono deserti, chi viene da queste parti dopo la pioggia?
Solo un matto … eh già!
Cerco un pezzo di terreno che sembri abbastanza solido da reggere il peso della moto, con l’aggiunta di un bel sasso sotto il cavalletto sono più sicuro.
M’inoltro nel campo che ho individuato, la testa piena di sogni e un poco di eccitazione.
C’è qualcosa che non fa parte del paesaggio, il cuore accelera i battiti: Ci siamo.
Non è una pentola, è un essere alto circa un metro, vestito di verde e marrone, un buffo cappello con la punta che pende da un lato calcato su una testa sferica dalla quale spuntano due orecchie sproporzionate; le gambette sono arcuate e le mani strette a pugno sui fianchi.
Mi guarda con aria di sfida e inizia a parlare in una strana lingua.
”Cosa dici? non capisco.”
Ma cosa sto facendo? Sto parlando con uno gnomo, ma gli gnomi non esistono!
La visione risponde: ”Eh già, voi ignoranti non sapete apprezzare la musicalità di una lingua vera!”
Sento che gli occhi mi si strabuzzano, capisco quello che dice e mi sta anche insultando.
”Oh, ignorante a chi?!?”
”A te umano, ma guarda cosa mi deve capitare, me ne stavo qui bello tranquillo a godermi il fresco e questo rompiscatole viene qui a disturbare la mia pace!”
”Uè coso, ora vengo lì e ti annodo quelle braccia rachitiche” faccio un passo verso di lui, con lo spirito più bellicoso di cui sono capace e… mi trovo sospeso a mezz’aria a sgambettare come una marionetta, lui ha solo fatto un gesto noncurante con la mano.
”Coso a chi? Se volessi potrei IO annodarti le braccia e non solo quelle, anzi penso che, per divertirmi, ti annoderò anche le gambe così strette che nemmeno Yorsul riuscirebbe a disfartele!”
Galleggiando faccio la domanda più stupida che potessi fare: ”Ma chi è Yorsul?”
Oddio ma cosa sto facendo? Sicuramente sono caduto dalla moto e questo è il coma, preludio della fine.
”Ah, vedi che sei proprio ignorante? Tutti conoscono Yorsul: è quello che aggiusta tutto, tu hai qualcosa che non funziona? Vai da lui e in un battito di ciglia riprende a funzionare.”
”Ma che tempo è un battito di ciglia? esprimiti bene, non sai che esistono gli orologi, poi sarei io l’ignorante eh?”
Ora gli ho reso pan per focaccia.
”Umpf, un battito di ciglia è un battito di ciglia, sei tu l’ignorante che ha bisogno di strumenti per misurare il tempo, non io.”
”Senti, amico…”
”Non sono tuo amico!”
“Ma è un modo di dire!”
“E’ un modo di dire da ignoranti.”
“Ancora!”
“Sì ancora, ma che ci sto a fare qui a parlare con un…” segue una parola che non capisco, ma sicuramente è un’ingiuria delle più gravi.
“Cosa ne dici di farmi scendere? Non è che mi senta molto a mio agio a un metro da terra.”
“Perché dovrei farlo?”
“Oh bella, perché non ti ho fatto niente.”
“Non è vero, mi hai minacciato e non si minaccia Glimps!”
“E’ il tuo nome?” mi sta venendo il mal d’aria.
“Ma certo che è il mio nome, tu ti vorresti chiamare con il nome di un altro?”
Esasperante.
“Ma certo che no.”
“Allora perché dovrei farlo io?”
“Era solo una domanda.”
“Domanda stupida!”
“D’accordo era una domanda stupida” se non lo rabbonisco al più presto questo galleggiare mi farà venire la nausea.
“Così va meglio” un altro cenno della mano e piombo a terra come un sacco di patate.
“Farlo con più delicatezza, no?!?” terrorizzato vedo che si appresta a un altro cenno e frettolosamente aggiungo: “Però va bene così, grazie ora sto meglio.”
Domani avrò dei bei lividi sulla posadera.
“Non c’è di che, basta che non minacci.”
“Giuro, non lo farò!”
“Perché sei venuto a disturbarmi?”
Una risposta veramente salace sul concetto di chi disturba chi mi sale alle labbra, sto zitto perché ho scoperto che volare non fa parte dei miei interessi.
“Cercavo la pentola d’oro.”
“Ah, ecco! Per farne che?”
“Ma come, per farne che?”
Sto seriamente considerando a chi si adatti meglio la definizione di ignorante, ma da persona cauta sto zitto.
“Per essere libero di fare quello che voglio, per potere coltivare i miei interessi che, a causa della necessità di lavorare, devo accantonare relegando i miei sogni in un cassetto”
“Da quando i sogni possono stare in un cassetto?”
“Ma è un altro modo di dire.”
“E’ un modo di dire stupido.”
Pensandoci, ha ragione.
“E’ vero, i sogni ti portano in alto, ti fanno vivere più piacevolmente e non devono essere segregati.”
“L’oro ha la capacità di fare tutto questo? Non lo sapevo e sì che so un sacco di cose!”
“Saccenteria a parte, ehm no, volevo dire che non è possibile sapere proprio tutto” la correzione salvavita è obbligatoria.
“L’oro materialmente non fa niente, ma attraverso il suo scambio si possono realizzare delle cose, comprare cose che ti fanno star bene, se lo possiedi non hai bisogno di lavorare per vivere cioè mangiare, abitare in una casa, acquistare la benzina per poter viaggiare in moto e…”
“Ma la natura non la prendi in considerazione? E’ proprio vero che sei un ignorante!”
La mia pressione interna sta arrivando al punto critico, ma faccio l’indifferente, mentre lui prosegue imperterrito: “Se hai fame, basta che cogli un frutto, un ortaggio, se hai sete ci sono le sorgenti, se vuoi viaggiare basta che tu faccia…” altra parola che non capisco e lui continua: “Se hai delle cose che non funzionano vai da Yorsul.”
Ahh, ma è una fissazione che ha con questo tipo! Neanche fosse Archimede Pitagorico.
“Il mondo non è così semplice.”
“Colpa vostra, siete VOI che l’avete ridotto così.”
In effetti, come dargli torto?
“Già!” anche alle mie orecchie il commento suona mesto.
“Santa pazienza, proprio uno con cui si può ragionare dovevo incontrare! Il primo che ammette quanto gli umani siano stupidi, rozzi e ignoranti.”
Lo star zitto non mi provoca nessun innalzamento di pressione; ha pienamente ragione, con tre parole è riuscito a definire la nostra condizione e mi sento di aggiungere:
“Siamo anche così arroganti da pensare di avere sempre ragione e di essere superiori agli altri.”
Ho l’impressione che il suo sguardo, fino a ora duro, si stia addolcendo.
“In fondo non sei così male per essere un umano.”
“Grazie”.
“Allora, vuoi il tesoro?”
Il mio cuore, in questo momento, potrebbe essere assunto in un circo come acrobata.
“Se tu potessi indicarmi dov’è te ne sarei grato”.
“Ah, ora non sono più il coso, non sono più quello a cui annodare le braccia, solo perché sono più piccolo di te, eh!?!”
“Cerca di capire, non capita tutti i giorni di…”
“Tutte scuse!”
“E’ vero, sono tutte scuse e ti chiedo perdono, non perché hai la capacità di alzarmi da terra solo facendo un gesto.”
“Come, così?” stesso gesto e io mi ritrovo di nuovo a volteggiare:
“Aiuto!” Vedo che ride:
“Scherzavo” altro gesto e questa volta atterro con la leggerezza di una piuma.
“Vieni con me” lo seguo come un cagnolino e se la possedessi, avrei la coda in mezzo alle gambe.
Si avvia verso un albero sul fondo del campo, una volta arrivati fa un cenno, dice tre parole incomprensibili, ma che hanno tutta l’aria di essere una formula magica.
Il tronco si apre come se fosse un libro e rivela un baule un po’ malandato, chiuso da cinghie che hanno il colore e sono di cuoio vecchio, non ha serratura.
“Ecco questo è il tuo tesoro.”
“Grazie, posso prenderlo?”
“E’ tuo!”
Con mani tremanti slaccio le cinghie, lentamente sollevo il coperchio immaginando la magnificenza dell’oro, delle pietre preziose e tutto quello che può farmi felice.
Dire che rimango sgomento è un eufemismo, sul fondo del baule ci sono giocattoli, figurine, un vecchio berretto con la visiera e una scatola di metallo.
Mi vengono i brividi: quella scatola è la mia, quella che da bambino usavo per riporre i miei tesori più cari: il nastro per capelli rubato a Lorena, un ciottolo dalla strana forma trovato sul greto di un torrente, una zampa di coniglio regalatami dallo zio Arturo e altre cianfrusaglie che a quell’età sono molto più importanti di qualsiasi altra cosa.
Mi giro verso lo gnomo con aria interrogativa e vedo che sta diventando di nebbia:
“Ehi ma…”
Prima di svanire del tutto mi dice: “Auguri e cerca di essere meno ignorante” e poi: puff, sparito.
Prendo il baule e lo sposto da dove è collocato, indietreggio di qualche passo e l’albero si richiude con uno scatto secco, proprio come quando si chiude un libro che ci è piaciuto e la soddisfazione di aver potuto ancora sognare ci fa essere un po’ irruenti esclamando:
“Proprio bello!”
La moto è là che mi aspetta, fisso sul portapacchi il baule e mi avvio sulla strada di casa, all’aria tersa dell’imbrunire urlo:
“Ho capito, Amico!”
Che dire: mi sento il padrone del mondo.

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