Jego – La saga – In cerca di Nora

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Mai un po’ tranquilli.

 

Villaggio

 

Un suono inusuale e inaspettato lo distolse dai suoi pensieri: stavano bussando alla porta.
Sulla soglia, illuminato dagli ultimi raggi del tramonto, c’era il connestabile della Terra di Mezzo.
Un uomo tutto tondo e tutto d’un pezzo seguito dal segaligno Clim, suo servo.
“Buonasera” stranito per la visita Jego, si scostò di lato per lasciare entrare i due.
A passo di carica e tutto tronfio, il connestabile attraversò la soglia per posizionarsi al centro della stanza; dietro di lui Clim roteava gli occhi con evidente disagio.
“Ti chiederai perché sono qui” aveva una bella voce profonda, abituata al comando.
Visto che Jego non rispondeva, continuò spazientito: “Sono qui per Nora, la figlia del fabbro, è sparita”.
Jego stava per domandare cosa avesse a che fare lui con quella sparizione, ma non fece in tempo a parlare, perché l’altro continuò: “Se ne è andata, è partita per il mondo esterno”.
“Allora non è sparita” Jego continuava a non raccapezzarsi.
“Come se lo fosse!” la voce era quella ufficiale, riservata alle sentenze.
“E allora?” logica domanda.
“E allora tu hai il dovere di trovarla e di ricondurla alla ragione, di farla tornare”
“Io?”
“Sì tu!” l’indice accusatore era puntato in direzione del petto di Jego.
“E chi se no?” fece eco Clim, cercando di sottolineare l’ordine del padrone, ma fu zittito con un’occhiataccia.
“Perché?” altra domanda logica.
Il viso del connestabile si stava facendo purpureo, nessuno si era mai permesso di mettere in discussione i suoi voleri, perdinci lui era il capo e gli altri dovevano obbedire.
Jego vedendo quelle guance arrossarsi, provò una sorta di piacere maligno, non gli erano mai piaciute le imposizioni, soprattutto se fattegli da chi non rispettava.
Nel suo passato, con il Branco, aveva sempre rispettato Crol, obbedirgli lo considerava un dovere oltre che il piacere di seguire un amico.
Il connestabile, con la sua voce possente, iniziò a enumerare le sue ragioni utilizzando le dita:
“Primo, tu qui non hai nessuno, non hai famiglia”
“Ed è una colpa?”
“Lasciami continuare; secondo, tu ci sei già stato là fuori”
“Terzo, perché è colpa tua” secondo gli intenti, questa doveva essere la tesi definitiva, la ragione che non ammetteva repliche.
“Mia?” il ringhio di gola che accompagnò la domanda fece indietreggiare di un passo i due: non si aspettavano una reazione del genere.
Un po’ meno sicuro il connestabile, a disagio continuò: “Tu hai dato il cattivo esempio, tu devi rimediare”.
Jego li guardò riflettendo: questa si che era una ragione valida, lo convinceva, ma non lo dette a vedere.
Sentiva che i due stavano trattenendo il fiato e, sorridendo dentro di sé per il loro cambio di atteggiamento, acconsentì:
“Va bene, se pensate che là fuori Nora sia in pericolo, andrò a cercarla”.
“Ma certo che è in pericolo là fuori da sola, Se anche volesse tornare sicuramente non ce la farebbe, povera ragazza!”
“Io sono tornato”
“Tu sei tu, lei è lei” tesi ineccepibile, Jego si costrinse a non scoppiare in una risata.

 

“Nora…” il mattino seguente, percorrendo la strada verso il villaggio, cercava di ricordare la ragazza, ma gli veniva in mente solo una peste dai capelli rossi raccolti in treccine, un paio di volte l’aveva messo sotto facendo a pugni e forse altrettante volte aveva fatto lui, ricordava due occhioni verdi, battaglieri, pieni di spirito e pronti a lanciare fiamme quando uno o più maschi facevano i prepotenti. Un caratterino esplosivo che i genitori a fatica riuscivano a contenere.
Li vide sulla porta di casa, lo stavano aspettando, la mamma grassottella con le guance rubizze la ricordava sempre sorridente e indaffarata; ricordava le frittelle che la donna era solita preparare per la figlia e i suoi compagni di gioco; il padre, massiccio, nerboruto di poche parole e pronto fa far scappare via i monelli che facevano chiasso intorno alla fucina, ricordava le paure che si era preso quando l’uomo, più di una volta, l’aveva rincorso urlando con la voce profonda e possente.
Ora vedeva due persone affrante dal dolore, il sorriso spento della madre e l’espressione cupa del padre.
“Buongiorno”
“Buongiorno Jego” un tentativo di sorriso, ma gli occhi della donna erano lucidi di pianto.
“Tu, hai rovinato la mia piccola!!” anche nel dolore il carattere burbero traspariva.
La mano grassoccia della moglie si posò sull’avambraccio del fabbro che immediatamente si rabbonì, cercando anche lui di sorridere, ma proprio non gli riusciva di farlo.
Jego si accorse quale fosse la vera fonte della forza in quella famiglia e chi ne fosse veramente il capo, ma si astenne da qualsiasi commento.
“Allora hai deciso di aiutarci?” gli occhi speranzosi della donna erano fissi in quelli grigi di quello che sembrava ancora un ragazzo pur essendo un uomo, nella Terra di Mezzo dove il tempo non ha misura, le caratteristiche fisiche non corrispondono a quelle del mondo esterno, un abitante del luogo che avesse quarant’anni, sarebbe stato scambiato per un diciottenne fuori da quella terra.
“Sì, farò il possibile, ma ho bisogno di informazioni, di una descrizione di vostra figlia, di com’è ora”.
“Ecco è così” dalla tasca del grembiule uscì il ritratto che Nora si era fatta fare da Prink il pittore del villaggio.
Dispiegato con cura il foglio, Jego vide il volto di una ventenne, fresco e pulito. Una massa di fluenti capelli, lunghi oltre le spalle, aveva sostituito le trecce, due occhi di smeraldo lo fissavano intensamente, quasi a sfidarlo per l’ennesima volta. Prink era proprio bravo, considerò affascinato da quello che il ritratto gli trasmetteva.

Nora_ritratto

 

“Bella la mia bambina, vero?” il vocione lo distolse dalla contemplazione.
“Eh sì, è proprio una bella ragazza”.
“Se non fosse stato per te sarebbe ancora qui!”.
“Ehi, io non vi devo niente!” le parole righiate e la mano rabbonente della donna, fece cessare quella che stava diventando un’esplosione di collera.
“Ehm… scusa, ma il fatto è che…” sembrava che la forza avesse abbandonato i muscoli dell’uomo.
“Lo so, capisco” il sottinteso: “non parliamone più” distese l’atmosfera.

 

La città all’imbrunire, così piena di luci, colori e caotica agitazione, gli creava un po’ di apprensione.
In fondo è come una foresta, solo un po’ più rumorosa.
Con questo rassicurante pensiero cercò di organizzare le sue ricerche, la cosa più difficile era capire da dove iniziare.
A un angolo di strada, illuminato da un lampione, vide un uomo elegantemente vestito che discuteva con tre ragazze, si avvicinò percependo brani della conversazione: “Ragazze, ragazze… dovete darvi più da fare, pellegrini ce ne sono tanti, il vostro compito è quello di accompagnarli sulla via giusta, di far conoscere loro le delizie che potete offrire, pagheranno qualsiasi prezzo per sentirsi in paradiso e ve ne saranno riconoscenti e a me si riempiranno le tasche; capite che uno della mia posizione deve avere un certo decoro, se voi non mi aiutate, finirò in miseria”.
“Forse quest’uomo potrà darmi delle valide indicazioni, visto che si occupa di pellegrini” il pensiero lo spinse a interpellare l’elegantone.
“Ehmm scusi, signore, potrebbe darmi un’informazione?”
“Ma certo, dimmi cosa ti serve” lo sguardo rivolto alle tre giovani era un implicito: “Visto che vi avevo detto?”.
“Sto cercando una ragazza che…”
“Sei arrivato nel posto giusto, dall’uomo giusto, guarda qui che bellezze, non hai che da scegliere…”
“No, non mi sono spiegato, ne cerco una particolare, una che…”
“Ah, ma dovevi dirlo subito, però ti costerà un po’ di più…”
Jego si stava innervosendo.
“No, cerco questa ragazza” la voce si era fatta più dura mentre mostrava il ritratto di Nora.
“Ehi, che pupattola, deve essere piena di fuoco, non mi meraviglio che tu la stia cercando, con una come questa si potrebbero fare soldi a palate” fingendo di non aver percepito l’asprezza nella voce del suo interlocutore.
“E’ un’amica…”.
“Gran bell’amica, amico, se tu riuscissi a convincerla, con la mia guida potresti diventare ricco in breve tempo, ti troveresti con un sacco di soldi in un batter d’occhio”.
“Soldi, e per fare che?” la domanda gli sembrava naturale.
“Ma come per farne che? Con i soldi si può tutto, più ne hai e più puoi comprarti cose…”.
“Anche un tramonto o un arcobaleno?”.
“Che c’entra, quelli sono gratis…”.
“Allora a che mi servono i soldi?” considerò che ultimamente stava facendo solo domande logiche.
Un po’ ingarbugliato, l’altro ebbe un attimo di esitazione e poi esclamò: “Ah, un campagnolo dunque!”
“No, vengo dalla Terra di Mezzo” era mai possibile che quell’uomo non avesse capito?
“Oh, va beh, comunque la tua amica ha più l’aria di un’universitaria che di una campagnola”.
Ecco da dove iniziare! L’università.
“Saprebbe dirmi dove si trova questa università?”
“E’ dall’altra parte della città, se non sai dove passare la notte, una delle mie ragazze potrebbe farti compagnia…”
“No, grazie lo stesso, grazie per le informazioni” l’altro afferrò la mano tesa e trasalì nel sentire la forza e con cui Jego gliela strinse.

 

La chioma rossa, illuminata dal sole, in mezzo alla marea di teste, sembrava il richiamo che dette a Jego la certezza di essere arrivato alla fine della ricerca.
Facendosi largo, un po’ bruscamente a dir la verità, tra la folla che si stava avviando alle aule, arrivò a toccare leggermente la spalla di Nora.
Pronta a reagire per redarguire quello che credeva il solito importuno lei si voltò di scatto e sul viso le si dipinse un’espressione di piacevole sorpresa:
“Jego! Che ci fai qui? che piacere rivederti! Sei scappato un’altra volta? Anche tu hai deciso di frequentare? Ma come mai proprio qui? Come hai fatto a riconoscermi?”
Con i palmi in avanti per arginare quel fiume in piena, sorrise nel constatare che gli anni non l’avevano cambiata, anzi era ancora più energica e vivace di come se la ricordava.
“Ehm, non proprio” non avrebbe mai immaginato di sentirsi imbarazzato.
“I tuoi genitori mi hanno chiesto…”
“Ah, dovevo immaginarlo! Tu vorresti riportarmi indietro?” le piccole mani si erano già chiuse a pugno e, dalla risolutezza che assunsero i suoi occhi, s’intuiva che era pronta ad assestargli un bel pugno sul naso.
“No, calma!” subito e istintivamente sulla difesa: “Mi è stato chiesto di trovarti e…”
“Beh, non mi hai trovata! Torna pure e dì loro che sono scomparsa in una nuvola, perché è lì che vivo”
“In una nuvola? Non mi sembra!” sguardo critico, mano sul mento in fare provocatorio.
“Umpf… uomini!” fu la risposta sprezzante “Non capirete mai niente… Volevo dire che sono innamorata”.
“Ah!” argomento sul quale è impossibile discutere.
“Lui è meraviglioso, è super!”
“E’ per questo che te ne sei andata?”
“Ma no, sciocco… la conoscenza, il comprendere, l’avere confini più ampi della visione che ti può offrire la nostra terra che, se pur bella, è chiusa, circoscritta, stantia”.
“Anche nella polvere delle tradizioni c’è qualcosa di buono, mi sembra…”
“Ah si! Allora tu perché te ne sei andato?” questo era peggio di un pugno e lo lasciò senza argomenti.
“Che c’entra!? Io sono io, tu sei tu” la parafrasi di quanto detto dal connestabile lo fece sorridere e fece scoppiare lei in quella risata che lui si era trattenuto dal fare.
“Ah, questo è certo!” la malizia faceva brillare i due smeraldi che lo stavano fissando.
“L’importante è che tu stia bene, che la felicità abbia preso possesso del tuo cuore, penso che questa sia la cosa che tutti vogliono e che pochi ottengono”.
“Basta volerlo! Anche tu con la tua sete, se volessi, qui potresti trovare quello che cerchi, quello che hai cercato quando te ne sei andato” la dolcezza delle parole e dell’espressione gli fecero capire cosa l’aveva spinta fuori dalla Terra di Mezzo, rivide in quegli occhi la stessa fiamma che aveva animato lui.
“Il mio posto è da un’altra parte, non posso stare qui”.
Ciò detto fece una cosa che mai si sarebbe immaginato di fare: l’abbracciò stretta, le schioccò un bacio sulla guancia e con gli occhi lucidi, le girò le spalle, avviandosi sulla strada del ritorno.

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     continua…

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